di Valeria Mazza
Revisionato da Alessandra Iero e Federico Forneris
La capacità di produrre un comportamento innovativo è un fattore chiave per affrontare con successo le sfide e i cambiamenti ambientali. La rapida espansione delle città e degli ambienti modificati dall’uomo crea molteplici situazioni in cui la capacità di innovare potrebbe essere vantaggiosa per molte specie animali. Capire cosa determina la variazione intraspecifica nella propensione all’innovazione è importante per caratterizzare i tratti che permettono agli animali di prosperare a fronte dei rapidi cambiamenti ambientali indotti dall’uomo. Uno studio recente mette a confronto le capacità di problem-solving di 31 topi dal dorso striato, Apodemus agrarius, provenienti da ambienti rurali o urbani in una batteria di otto test.
Nella classica favola di Esopo, un topo di città e un topo di campagna si scambiano una visita, e per ognuno l’esperienza risulta particolarmente sgradevole a causa del cibo inconsueto, della struttura della tana insolita e dei vari pericoli a cui non erano abituati. Ciascun topo non riesce ad adattarsi all’ambiente dell’altro ed entrambi concordano sul fatto che si sta meglio a casa propria, dove si sa come muoversi. Quanto era accurata la descrizione di Esopo? Per i ricercatori che si occupano di comportamento e cognizione animale, questa domanda è la base per comprendere meglio gli adattamenti necessari per sopravvivere negli ambienti profondamente alterati dall’attività umana, di cui le città sono l’esempio più comune ed estremo.
In generale, gli ambienti urbani non rappresentano un habitat ideale per la maggior parte degli animali selvatici. Oltre all’inquinamento luminoso, acustico, atmosferico e del suolo, ci sono alte densità di umani e di automobili (pericoli in sé), case, strade e parcheggi, che nascono sotto il cemento il suolo naturale, rendendo quasi impossibile trovare un luogo adatto per costruire una tana o un nido e trovare cibo. Inoltre, le risorse alimentari non sono quelle che la maggior parte degli animali conosce e riconosce, rendendo necessario saper identificare nuove possibili fonti di sostentamento. I predatori e i parassiti presenti nelle città sono spesso diversi da quelli con i quali una specie condivide la storia evolutiva, il che significa che spesso non ci sono difese efficaci. E infine, animali domestici come cani e gatti si aggiungono alla lista dei predatori. A causa di queste sfide, molte specie si tengono alla larga dagli agglomerati urbani. Il risultato è una grave perdita di biodiversità a livello globale dovuta all’espansione urbana. Alcune (poche, pochissime) specie, tuttavia, sono riuscite a trovare la loro nicchia, vivendo accanto agli umani (o nonostante loro). E, come già notato da Esopo, ci sono spesso notevoli differenze nel comportamento e nei processi mentali tra animali della stessa specie che vivono in ambienti rurali/naturali e i “cittadini” [1,2]. Identificare i tratti che permettono ad alcuni individui di prosperare negli habitat urbani aiuterà a comprendere i fattori determinanti nell’adattamento al rapido cambiamento ambientale indotto dall’uomo, e a sviluppare strategie di mitigazione più efficaci per la conservazione delle specie a rischio.
BOX 1: Micromammiferi: chi sono e perché interessarcene
Con “micromammiferi” si intende una categoria non sistematica che comprende gli ordini degli Insettivori (Soricidi, Talpidi ed Erinaceidi) e dei Roditori, accomunati dal fatto di essere mammiferi di piccole dimensioni, da pochissimi centimetri (il minuscolo mustiolo Suncus etruscus pesa solo 2-3 g!) fino alle dimensioni di uno scoiattolo.
Nell’immaginario popolare sono stati totalmente messi in ombra dai poco amati topi domestici e dai ratti, che sono attratti dagli insediamenti umani perché vi trovano cibo e opportunità di nidificare. Tuttavia, la stragrande maggioranza dei micromammiferi è non-commensale: non mangiano il nostro cibo, non sono interessati ai nostri rifiuti – e sostanzialmente non-sinantropica: non sono attratti dagli insediamenti umani; se ci finiscono, ovvero se le città si espandono fino a includere i loro habitat, a volte riescono ad adattarsi e sopravvivere (vedi articolo), ma il più delle volte si estinguono localmente. Queste estinzioni locali dovrebbero preoccuparci perché i micromammiferi sono una parte importantissima della biodiversità italiana – circa il 4% della nostra fauna selvatica di vertebrati e il 40% dei mammiferi sul nostro territorio [3]. I micromammiferi sono inoltre un anello fondamentale della maggior parte (per non dire di tutti) i sistemi trofici terrestri. Ovvero, sono loro a collegare gli “anelli della catena alimentare”: le specie erbivore e granivore trasformano l’energia presente in piante e semi e la rendono disponibile per gli altri animali. Nutrendosi, conservando e disperdendo i semi, permettono alle piante di diffondersi e agli habitat di rinnovarsi. Questo non succederebbe se i semi cadessero a pochi centimetri dalla pianta madre, la cui presenza impedirebbe la crescita di nuove piante. Micromammiferi insettivori che si nutrono di invertebrati sono importantissimi per il controllo delle popolazioni di insetti e il mantenimento della biodiversità degli invertebrati in tutti gli ambienti. Con la loro attività di scavo rimescolano il terreno, favorendo la decomposizione della sostanza organica e la penetrazione delle acque nel sottosuolo [4]. Sono considerati sensibilissimi “bioindicatori” e studiarli permette di avere un’idea dello stato di salute complessivo di un ecosistema (e.g.[4]). I micromammiferi poi costituiscono la parte principale della dieta di molti animali, a loro volta a rischio di estinzione. Solenni gufi e civette, maestose aquile, eleganti ermellini, affascinanti volpi, simpatici tassi…nessuno di loro può sopravvivere senza la presenza dei micromammiferi, la cui conservazione è integrale alla conservazione di altre specie carismatiche più conosciute.
E come la mettiamo con la nozione tramandataci dalle nonne “i topi portano malattie”? E’ vero? Quanto ci dobbiamo preoccupare se in fondo al nostro giardino vediamo correre un micromammifero? Una prima distinzione va fatta tra animali commensali e non commensali; chi non viene a sgranocchiare il cibo nelle nostre dispense o non nidifica (o lascia escrementi) nelle nostre cucine, non rappresenta un pericolo. Attualmente, un rischio molto maggiore in questo senso è posto dalle colonie di piccioni che si moltiplicano senza controllo nelle grandi città. Quindi a eccezione di ratti e topi, che vengono normalmente “controllati” dalle periodiche campagne di disinfestazione nei condomini e nelle città, gli altri micromammiferi non rappresentano una minaccia per la salute umana. Fattorie e case di campagna possono ridurre considerevolmente le possibilità di “visita” anche di questi ultimi, sgombrando le soffitte e tenendo le aree intorno agli edifici pulite e con erba molto corta (sembra troppo poco? Provate! I roditori detestano gli spazi aperti dove sono facile preda dei rapaci – se per arrivare a casa vostra c’è da attraversare un prato corto, cambieranno destinazione). Ciò non vuol dire che possiamo avvicinare animali selvatici, toccare i loro nidi e le loro tracce e poi fare merenda senza lavarci le mani. Vale per tutti gli animali selvatici, dal cervo al cinghiale all’arvicola. Ma possiamo convivere in tutta tranquillità e sicurezza con ghiri, topolini selvatici o arvicole che si nascondono sotto i cespugli del giardino o si intravedono nei parchi cittadini.
“la natura è fatta anche, e soprattutto, di piccole cose, spesso difficilmente scrutabili perfino dagli occhi più attenti ma ugualmente ricche di fascino e sorprese. A questo mondo sconosciuto appartengono proprio i micromammiferi”
– Armando Nappi, 2001
L’innovazione – la capacità di esprimere nuovi comportamenti o di applicare nuove soluzioni a vecchi problemi [5,6] – è stata proposta come un importante fattore predittivo, una caratteristica chiave, per il successo nell’insediamento e nella permanenza in ambienti nuovi o alterati in generale, e negli ambienti antropizzati come le città in particolare [7,8]. Esempi famosi di comportamenti innovativi in animali cittadini includono le cornacchie che lasciano cadere le noci davanti alle auto di passaggio per aprirle [9], le cince che sollevano i tappi delle bottiglie di latte per ottenere una cremosa ricompensa [10,11], e i fringuelli che aggiungono mozziconi di sigaretta alla trama di ramoscelli dei loro nidi per tenere lontani i parassiti [12].
Rispondere alle sfide di un ambiente nuovo, completamente diverso da quello nel quale una specie si è evoluta, sviluppando comportamenti nuovi e appropriati richiede un grado di flessibilità comportamentale che può essere impegnativo a livello cognitivo. La complessità di questo processo di innovazione potrebbe quindi spiegare la sostanziale variazione inter- e soprattutto intra- specifica nella capacità di aggiungere nuove varianti al repertorio comportamentale.
Il modo più comune per valutare empiricamente la propensione all’innovazione è quello di presentare agli animali una forma di problema da risolvere (problem-solving), tipicamente un compito di estrazione di una ricompensa in cibo da una cosiddetta puzzle-box – il cui principio è simile ai giocattoli per cani e gatti in cui ci sono vari lucchetti o meccanismi da aprire per arrivare al cibo. La capacità di trovare una soluzione a questi puzzle si accompagna alla capacità di esprimere comportamenti innovativi nell’ambiente naturale, ed è collegata alle capacità di apprendimento e di inibizione degli stimoli innati. Studi recenti hanno esaminato la differenze individuali nelle capacità di innovazione e problem-solving dei piccoli mammiferi in ambienti urbani e rurali [13].
La specie di studio è il topo selvatico a dorso striato (Apodemus agrarius), un piccolo roditore non commensale (quindi non interessato al cibo nelle nostre dispense, e che si tiene alla larga dalle abitazioni umane), che si trova comunemente sia nelle aree rurali che in quelle urbane dell’Europa settentrionale e centrale. In Germania è una specie protetta, e come tutti i micromammiferi ricopre un ruolo fondamentale negli ecosistemi per innumerevoli motivi – tra questi, il suo cibarsi di insetti e semi che vengono rispettivamente controllati e aiutati a disperdersi, e l’essere a sua l’elemento portante della dieta di altre specie a forte rischio di estinzione o protette come gufi, aquile, volpi, ecc…31 topi sono stati prelevati da tre siti nella città di Berlino e altrettante zone rurali nel Nord della Germania (Fig. 1). Dopo qualche tempo in cattività, sono stati testati in una batteria di 8 test di estrazione – 8 puzzle di complessità crescente (Fig. 2 e Video 1).
BOX 2: Solo questione di intelligenza?
Un test di controllo mirato al comportamento innato di scavo è stato utilizzato per verificare le potenziali differenze nella motivazione a interagire con i puzzle. In questo test veniva presentata una situazione simile a quella dei test di problem-solving, ovvero la stessa ricompensa da cercare con lo stesso tempo a disposizione. La differenza era che stavolta la ricompensa era nascosta sotto un mucchietto di segatura, la stessa che copre il fondo di tutte le gabbie, e per arrivarci bisognava scavare. In natura i topi striati spesso si nutrono di insetti che trovano scavando nel terreno, quindi sono tutti potenzialmente di in grado di conquistare la ricompensa in questo test; se alcuni individui non lo fanno, quindi se ci sono differenze nei test di controllo, potrebbe essere perché, ad esempio, la ricompensa non è abbastanza appetibile o il tempo troppo breve e si deve indagare più a fondo.
In aggiunta, altri aspetti comportamentali sono stati misurati, aspetti non-cognitivi che però spesso influenzano il risultato di questi studi e possono confondere i risultati, lasciando il dubbio se prestazioni migliori sono davvero sintomo di capacità cognitive più sofisticate, o invece il prodotto di un maggiore interesse per la ricompensa, o magari minore timore nell’avvicinarsi a un oggetto sconosciuto e potenzialmente pericoloso, il che ovviamente riduce il tempo e le possibilità di interagire efficacemente con qualsiasi puzzle-box. Questi aspetti includono la neofobia, la persistenza, l’esploratività. Infine, le semplici capacità motorie possono costituire un ostacolo in questi test. Animali che effettuano azioni motorie più varie, hanno più possibilità di aprire una puzzle-box. Per questo motivo, i primi 4 test della batteria potevano essere risolti con diverse strategie, mentre gli altri richiedevano l’esecuzione di una specifica azione motoria o una sequenza di azioni (Video 1). Avere un repertorio di movimenti più vasto avrebbe dato un vantaggio nei primi test, mentre non sarebbe stato di nessun aiuto negli ultimi (Video 1). Mentre tutti i puzzle hanno testato le prestazioni di problem-solving, gli ultimi hanno specificamente testato la diversità motoria come un potenziale meccanismo di problem-solving.
Gli animali sono stati testati in un puzzle al giorno, durante giorni consecutivi. Ogni puzzle-box veniva prima presentato aperta, in modo che l’animale potesse associarla con una ricompensa e imparare dove cercare. Se il topo si avvicinava alla puzzle-box e consumava la ricompensa, una nuova puzzle-box, stavolta chiusa, veniva posta di fronte all’animale, che aveva 10 minuti di tempo per trovare la soluzione e aprirla. I ricercatori hanno scoperto che mentre entrambi i gruppi di topi partecipavano prontamente ai test, non avevano lo stesso successo nel risolverli. Infatti, le differenze erano notevoli, con i topi rurali che risolvevano solo il 51,9% dei puzzle, mentre i topi urbani ne risolvevano il 77% (Fig. 2).
Nel test di controllo (Box 2), gli animali di entrambi gli ambienti si sono comportati in modo simile (Fig. 2), il che indica un interesse, un grado di cautela e una motivazione simili nell’interagire con i puzzle per ottenere la ricompensa. Sorprendentemente, le capacità motorie non si sono rivelate un elemento determinante nel successo dei topi di città, e nemmeno aspetti non-cognitivi come la persistenza. Anzi, i topi campagnoli erano molto più determinati e hanno interagito con i puzzle che non riuscivano a risolvere molto più a lungo rispetto ai topi urbani. Continuavano a provare, mentre quelli urbani che non riuscivano a risolvere un puzzle si arrendevano dopo pochi secondi.
Uno degli aspetti più rilevanti nella risoluzione dei diversi puzzle, è risultato essere la quantità di tempo trascorso ad esplorare la puzzle-box aperta. Un’interazione più lunga fornisce all’individuo più informazioni sul puzzle, permettendogli così di eseguire l’azione appropriata per accedere alla ricompensa. Nel presente studio, a parità di tempo impiegato nell’esplorare il puzzle, i topi urbani avevano probabilità di successo più alte.
Questi risultati sono coerenti con l’idea che vivere in ambienti modificati dall’uomo potrebbe favorire un aumento delle capacità di problem-solving e che l’innovazione potrebbe quindi giocare un ruolo chiave nel successo dell’individuo nell’affrontare le sfide rappresentate dagli ambienti fortemente alterati dall’attività umana. Le migliori prestazioni nel problem-solving innovativo nei topi urbani rispetto ai conspecifici rurali confermano i risultati precedenti ottenuti in altre specie, in particolare negli uccelli [7,14]; sembrerebbe quindi che anche specie tra loro molto diverse e filogeneticamente distanti rispondano in modo simile alle sfide degli ambienti antropizzati, ossia aguzzando l’ingegno e manifestando maggiore plasticità comportamentale. Un’alta propensione all’innovazione sarebbe infatti particolarmente vantaggiosa nell’affrontare ambienti che presentano difficoltà mai incontrate prima, cambiamenti repentini o circostanze che raramente si verificano nell’ambiente originario di una specie. La capacità di esprimere una più ampia gamma di risposte comportamentali, e di adattare queste risposte alle circostanze che variano frequentemente, potrebbe essere ciò che alla fine permette a questi piccoli roditori di prosperare negli angoli verdi della grande metropoli.
Per saperne di più
Per maggiori informazioni sui micromammferi, una bellissima mostra a cura di Armando Nappi si è tenuta nel 2001, e le immagini e informazioni si possono trovare online qui e qui.
Per conoscere meglio i micromammiferi, risorse interessanti si possono trovare a questo link.
Per saperne di più sulla cognizione animale, consigliamo “Nella mente degli animali” di Danilo Mainardi e “Siamo così intelligenti da capire l’intelligenza degli animali?” di Frans de Waal.
Bibliografia
[1] Lowry, H., Lill, A., & Wong, B. B. M. (2013). Behavioural responses of wildlife to urban environments: Behavioural responses to urban environments. Biological Reviews, 88(3), 537-549.
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[3] Loy, A., et al. (2019). Mammals of Italy: an annotated checklist. Hystrix 30(2):87-106.
[4] Amori, G., Luiselli, L., Milana, G., & Casula, P. (2014). Distribuzione, diversità e abbondanza di micromammiferi associati ad habitat forestali in Sardegna. Report-Ente Foreste della Regione Sardegna.
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[12] Suárez-Rodríguez, M., López-Rull, I., & Macias Garcia, C. (2013). Incorporation of cigarette butts into nests reduces nest ectoparasite load in urban birds: new ingredients for an old recipe?. Biology Letters, 9(1), 20120931.
[13] Mazza, V., & Guenther, A. (2021). City mice and country mice: Innovative problem solving in rural and urban noncommensal rodents. Animal Behaviour, 172, 197-210.
[14] Sol, D. (2009). The cognitive-buffer hypothesis for the evolution of large brains. In Cognitive Ecology II (R. Dukas, J.M. Ratcliffe (Eds.). University of Chicago Press.
Info sui Revisori di questo articolo
Alessandra Iero,
Federico Forneris, PhD in Biologia Molecolare e Strutturale, è professore associato presso l’Università di Pavia (IT).
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