MINIREVIEW: Ictus ischemico cerebrale in COVID-19

Analisi della letteratura a cura di: Giulia Colombo Traduzione a cura di: Alessio Silva Revisionato: Alessio Silva

L’ictus ischemico cerebrale è relativamente comune nei pazienti COVID-19 che sono a rischio di malattia cerebrovascolare acuta ed è associato a marcatori biochimici comuni di infiammazione, ipercoagulopatia e insufficienza d’organo. La patogenesi è ancora da chiarire ma sembra essere correlata a coagulopatia indotta da sepsi e alla successiva coagulazione intravascolare disseminata. I trattamenti con eparina a basso peso molecolare o con attivatore del plasminogeno tissutale sembrano essere utili ma anche ACE2 solubile ricombinante umano potrebbe essere un’opzione.

Una serie di casi di Wuhan, in Cina, è stata analizzata in uno studio retrospettivo per tre categorie di manifestazioni neurologiche collegate a COVID-19 che coinvolgono il sistema nervoso centrale (vertigini, mal di testa, alterazioni dello stato di coscienza, malattia cerebrovascolare acuta, atassia e convulsioni), il sistema nervoso periferico (alterazioni di gusto/olfatto, compromissione della vista e dolore ai nervi) e il muscolo scheletrico. Dei 214 pazienti (età media 52,7 ± 15,5 anni; 40,7% uomini) con COVID-19, 88 (41,1%) presentavano una grave infezione respiratoria e, complessivamente, 78 casi (36,4%) presentavano manifestazioni neurologiche, principalmente all’esordio della malattia. I pazienti gravi erano più anziani di quelli con sintomi meno severi, avevano più disturbi di base, in particolare ipertensione, e mostravano febbre e tosse ridotte. Inoltre, questi pazienti presentavano coinvolgimenti neurologici più frequentemente, come malattie cerebrovascolari acute (5,7% vs 0,8%), alterazioni dello stato di coscienza (14,8% vs 2,4%) e lesioni muscolari scheletriche (19,3% vs 4,8%). Questi pazienti presentavano livelli mediani aumentati di proteina C reattiva, D-dimero, creatina chinasi, lattato deidrogenasi, azoto ureico nel sangue e ferritina sierica. Alcuni erano anche positivi per gli anticorpi anti-fosfolipidi, come le IgM anti-cardiolipina.

È interessante notare che nei paesi occidentali un numero crescente di prove sottolinea l’importanza dell’ictus ischemico cerebrale nell’epidemiologia COVID-19. In effetti, molti casi gravi di ictus sono stati collegati a COVID-19, mostrando caratteristiche insolite:

  • Un paziente francese di 66 anni ha sviluppato un ictus ischemico acuto all’esordio dei sintomi respiratori legati a COVID-19, complicando il grande trombo fluttuante all’interno dell’arteria carotide comune. I pazienti con ictus non-COVID-19 raramente sviluppano trombi fluttuanti intraluminali in quella regione, che di solito si verificano su placche ulcerate o stenotiche.
  • Sei pazienti di una coorte inglese presentavano occlusione di grandi vasi, tre accompagnati da infarto multi-territoriale, due con concomitante tromboembolia venosa e altri due hanno avuto ictus nonostante la terapia con anticoagulanti.
  • In un caso clinico turco, quattro pazienti con COVID-19 non grave sono stati segnalati visto il coinvolgimento neurologico dell’ictus ischemico acuto.
  • Cinque casi di ictus di grandi vasi nei pazienti di New York di età inferiore ai 50 anni dimostrano che gli anziani non sono i soli a rischio.
  • Una grave coagulopatia in un paziente del New Jersey con polmonite COVID-19 ha causato una malattia tromboembolica multifocale, coinvolgendo le circolazioni polmonare, cerebrale e renale.

Ad oggi, è noto che il decorso clinico di COVID-19 è più grave negli uomini anziani che sono soggetti a fattori di rischio per ictus e con comorbidità come ipertensione, diabete, malattie cardiache e obesità. Inoltre, un segno distintivo emergente di COVID-19 grave è una coagulopatia che è stata definita coagulopatia indotta da sepsi (SIC) con alti livelli di D-dimero e fibrinogeno. La SIC è precursore della coagulazione intravascolare disseminata (DIC) associata a tempo protrombinico elevato (PT), D-dimero elevato e trombocitopenia ma senza ipofibrinogenemia. La SIC è correlata a una risposta infiammatoria sistemica indotta da infezione con disfunzione endoteliale e microtrombosi con insufficienza d’organo, solitamente senza sanguinamento. Quindi i pazienti con COVID-19 grave possono essere a rischio di trombogenesi e ischemia cerebrale a causa sia di uno stato biocochimico ipercoagulabile che di una lesione endoteliale vascolare diretta, poiché l’ACE2 è fisiologicamente espresso dall’endotelio.

Alcuni pazienti con elevato D-dimero o punteggio SIC avevano una mortalità più bassa quando trattati con eparina (principalmente a basso peso molecolare, LMWH) rispetto a quelli non trattati; altri hanno riportato un miglioramento dei parametri respiratori dopo l’uso dell’attivatore del plasminogeno tissutale. Tuttavia, la terapia anticoagulante precoce con LMWH deve essere bilanciata rispetto al rischio di emorragia intracranica, inclusa la trasformazione emorragica di un infarto acuto. Per una terapia COVID-19 più mirata, un trattamento promettente è la somministrazione esogena di ACE2 solubile ricombinante umano (hrsACE2), che è stato dimostrato bloccare l’infezione da SARS-CoV-2 in organoidi ingegnerizzati di vasi sanguigni umani e che ora sta entrando in uno studio clinico. hrsACE2 può funzionare principalmente in due modi: fungendo da esca competendo con la proteina spike di SARS-CoV-2 per il legame con l’ACE2 endogena polmonare e endoteliale, riducendo così l’infezione delle cellule ospiti; oppure può prevenire la neutralizzazione dell’ACE2 endogeno da parte del virus SARS-CoV-2. Quest’ultimo aspetto è cruciale in quanto ACE2 è una parte fondamentale del sistema renina-angiotensina, in grado di agire controbilanciando l’enzima 1 di conversione dell’angiotensina e l’angiotensina II, che è proinfiammatoria, vasocostrittiva e può promuovere il danno d’organo.

In conclusione, dato che una valutazione tempestiva e il trattamento iperacuto sono la chiave per minimizzare la mortalità e la morbilità dei pazienti con ictus acuto, i medici devono essere consapevoli del fatto che i pazienti COVID-19 possono presentare patologia cerebrovascolare anche come primo sintomo rilevante e dovrebbero essere forniti di adeguati dispositivi di protezione individuale al contatto con ogni caso sospetto. Una sfida per i pazienti COVID-19 con ictus acuto è l’incapacità di comunicare efficacemente a causa di problemi del linguaggio, alterazione dello stato mentale, storia clinica inadeguata (a causa delle limitazioni dei visitatori da parte delle politiche ospedaliere), ecc. Quindi, un centro neurologico insieme ad un’unità CT mobile per pazienti COVID-19 con sintomi simil-ictus potrebbero essere molto utili.

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