di Giorgio Graselli
Revisionato da Federico Forneris
Uno dei grandi interrogativi a cui le neuroscienze stanno cercando di dare una risposta riguarda come all’interno del nostro cervello i neuroni riescono a registrare nuove memorie. Il cambiamento della forza con cui due neuroni connessi comunicano tra loro (plasticità sinaptica) è considerato, da oltre quarant’anni, il principale meccanismo cellulare coinvolto in questi processi. Nel nostro ultimo lavoro, pubblicato su PLOS Biology [1], abbiamo dimostrato, che anche un altro processo cellulare svolge un ruolo chiave nella registrazione di nuove memorie, almeno in parte indipendentemente dalla plasticità sinaptica: il cambiamento dell’eccitabilità intrinseca dei neuroni (plasticità intrinseca). Si aggiunge così un nuovo tassello nella comprensione dei meccanismi cellulari necessari alla memoria e apprendimento che possono essere alterati in malattie nel sistema nervoso.
Imparare e ricordare ci appaiono come qualcosa di scontato, eppure questo avviene grazie a meccanismi biologici estremamente raffinati (e ancora non del tutto noti) che permettono ad un evento di lasciare una traccia nei neuroni. La comprensione di questi meccanismi è perciò uno dei grandi interrogativi ai quali le neuroscienze stanno cercando da decenni di dare una risposta esauriente. Sappiamo che alcuni di questi meccanismi avvengono nel punto di contatto tra due neuroni, le sinapsi, che, in base all’esperienza si modificano, rafforzando o indebolendo l’efficienza con cui i segnali elettrici vengono trasmessi da un neurone all’altro (per una descrizione delle funzioni di base di un neurone vi suggeriamo la lettura dell’articolo AIRInforma di Elia Magrinelli [2]). Questa capacità è nota come plasticità sinaptica ed è considerata classicamente -da oltre quarant’anni- il principale meccanismo cellulare alla base della memoria (Fig. 1A-B). Più recentemente, però, i dati sperimentali sembrano suggerire che esistano altri meccanismi coinvolti nei processi mnemonici. In particolare, in diverse specie, è stato osservato che alcuni eventi sono in grado di modulare l’eccitabilità dei neuroni (ossia la capacità che un neurone ha, di rispondere agli input in maniera più o meno efficace generando scariche elettriche da trasmettere al neurone successivo). Questa è una proprietà intrinseca della cellula, cioè indipendente dalla comunicazione con altri neuroni.
Se volessimo paragonare, per esempio, un neurone a un megafono che riceve un input sonoro dal microfono e produce un output nell’amplificatore, le sinapsi potrebbero essere simili al microfono. Dall’altro lato, invece, la manopola del volume dell’altoparlante (capace di modulare il suono prodotto in uscita) potrebbe rappresentare la capacità di regolare l’eccitabilità del neurone. In questa analogia, quindi, i cambiamenti di quello che avviene in input al microfono (ad esempio un abbassamento del volume della voce o della sensibilità del microfono) corrisponderebbero alla plasticità sinaptica (Fig. 1B), mentre una regolazione della manopola del volume dell’altoparlante corrisponderebbero ad una modulazione della eccitabilità del neurone (Fig. 1C). Anche questa modulazione dell’eccitabilità, come la plasticità sinaptica, avviene in funzione dell’attività dei neuroni coinvolti, e potrebbe rappresentare perciò una sorta di traccia degli eventi precedenti. Per questa ragione si è andata formando l’ipotesi che questo meccanismo, che è stato chiamato plasticità intrinseca, in aggiunta alla plasticità sinaptica, contribuisca anch’esso alla registrazione di nuove memorie.

Figura 1 – Plasticità sinaptica e plasticità intrinseca. Un neurone (A) riceve input alle sinapsi (come da una sorta di microfono) sotto forma di correnti elettriche. Queste correnti possono cambiare di ampiezza in base all’attività precedente in modo da tenere traccia degli eventi passati (B). Questo tipo di cambiamento che avviene agli input sinaptici si chiama plasticità sinaptica (B). L’output di un neurone viene prodotto nell’assone dall’elaborazione degli input ricevuti in base ad una proprietà detta di eccitabilità intrinseca ed è costituito da scariche elettriche (“potenziali d’azione”) generati ad una certa frequenza (C). Questa frequenza può cambiare anch’essa in base all’attività precedente ed è dovuta a cambiamenti dell’eccitabilità intrinseca. Questo tipo di cambiamento dell’eccitabilità intrinseca si chiama plasticità intrinseca (C).
Pochi anni fa nel nostro gruppo di ricerca abbiamo dimostrato che la plasticità intrinseca di un certo tipo di neuroni (i neuroni di Purkinje presenti nel cervelletto mostrati in Fig. 1A) è in grado di modificare il modo in cui questi integrano i segnali ricevuti a livello delle sinapsi per generare il proprio output, riducendo il tempo tra un particolare segnale elettrico (noto come complex spike) e la scarica elettrica successiva [3]. Cioè, nell’analogia dell’altoparlante, è come se questi neuroni, nell’aumentare il “volume” del loro output, cambiassero anche leggermente il suono prodotto alterandone il significato. Questo ha rinforzato l’ipotesi che la plasticità intrinseca possa “codificare” le memorie, suggerendo che potrebbe farlo non solo sotto forma di un “aumento del volume” (un aumento della frequenza delle scariche elettriche del neurone) ma anche del “suono” prodotto (cioè dei tempi tra una scarica elettrica e l’altra).
Finora, a causa della difficoltà nell’isolare il contributo dei due tipi di plasticità, non era stato possibile dimostrare se la plasticità intrinseca fosse un fenomeno solamente correlato alla registrazione di nuovi ricordi o se giocasse un effettivamente ruolo necessario per acquisire alcuni tipi di memorie. Nel nostro ultimo lavoro, appena pubblicato su PLOS Biology, svolto alla University of Chicago in collaborazione con l’Erasmus Medical Center di Rotterdam [1], siamo riusciti a trovare delle condizioni sperimentali in cui fosse possibile distinguere il contributo delle due forme di plasticità e quindi identificare il loro singolo coinvolgimento nei processi mnemonici. Per fare ciò, abbiamo generato una nuova linea di topi inattivando, con una mutazione, il gene responsabile della plasticità intrinseca in modo selettivo nei neuroni di Purkinje, in un’area del cervello nota come cervelletto. Questo è un’area coinvolta nel coordinamento motorio, nella memoria motoria (e in molte altre funzioni cognitive), e che è il bersaglio di diverse malattie neurologiche tra cui l’atassia. In questo modo la mutazione causa un’alterazione della plasticità intrinseca dei neuroni interessati dalla mutazione mantenendo, allo stesso tempo, intatta quella sinaptica. Grazie a questo approccio abbiamo potuto dimostrare che un’alterazione della sola plasticità intrinseca è sufficiente a causare difetti di apprendimento, dimostrando quindi che questo tipo plasticità gioca un ruolo necessario durante la registrazione di alcuni tipi di ricordi.
La mutazione genetica che abbiamo utilizzato interessa un gene chiamato “SK2”, necessario per produrre un canale presente nella membrana dei neuroni che permette un flusso selettivo di ioni potassio e contribuisce a mantenere sotto controllo l’eccitabilità intrinseca del neurone. La riduzione della funzione di questo canale è alla base dell’aumento di eccitabilità intrinseca in cui consiste la plasticità intrinseca.
Abbiamo osservato che la mutazione da noi inserita per “spegnere” il gene SK2 nei neuroni di Purkinje non alterava il circuito neuronale di base: la forma e la densità dei neuroni di Purkinje era normale, così come la loro innervazione e trasmissione sinaptica. Anche la plasticità sinaptica indotta sperimentalmente era comparabile a quella osservata in assenza della mutazione (Fig. 2A-B) mentre la plasticità intrinseca era scomparsa (Fig. 2C). La mutazione causa quindi un difetto selettivo della plasticità intrinseca nei neuroni di Purkinje ma non della plasticità sinaptica né di altre caratteristiche del circuito, rendendo perciò questo modello animale perfetto per studiare il contributo specifico dei cambiamenti di eccitabilità neuronale (Fig. 2A-C).
![Figura 2 – La mutazione causa un difetto selettivo nella plasticità intrinseca. I pannelli a sinistra raffigurano il metodo usato per registrare le proprietà elettriche dei neuroni di Purkinje (Purkinje cell, PC) noto come elettrofisiologia di patch-clamp con un elettrodo di registrazione (grigio chiaro) e due elettrodi di stimolazione (grigio scuro) usati per stimolare i due input (parallel fibers, PF, in rosa; climbing fiber, CF, in verde). I grafici a destra mostrano il risultato dell’induzione dei diversi tipi di plasticità in presenza della mutazione (L7-SK2, in arancione) o in assenza (control, in blu): plasticità sinaptica (A, depressione sinaptica; B, potenziamento sinaptico) e plasticità intrinseca (C). Le tracce sopra ogni grafico sono esempi rappresentativi di come le correnti sinaptiche (A-B) o la frequenza delle scariche elettriche (potenziali di azione, C) cambiano dopo l’induzione (“t = 30 min”, colorazione scura) rispetto a prima dell’induzione (baseline, in colore chiaro). Il numero (n) rappresenta il numero di neuroni analizzati. I grafici riportano valori medi ± errore standard.
(Immagine modificata da [1]).](https://informa.airicerca.org/wp-content/uploads/sites/12/2020/02/Fig-2-plasticity.png)
Figura 2 – La mutazione causa un difetto selettivo nella plasticità intrinseca. I pannelli a sinistra raffigurano il metodo usato per registrare le proprietà elettriche dei neuroni di Purkinje (Purkinje cell, PC) noto come elettrofisiologia di patch-clamp con un elettrodo di registrazione (grigio chiaro) e due elettrodi di stimolazione (grigio scuro) usati per stimolare i due input (parallel fibers, PF, in rosa; climbing fiber, CF, in verde). I grafici a destra mostrano il risultato dell’induzione dei diversi tipi di plasticità in presenza della mutazione (L7-SK2, in arancione) o in assenza (control, in blu): plasticità sinaptica (A, depressione sinaptica; B, potenziamento sinaptico) e plasticità intrinseca (C). Le tracce sopra ogni grafico sono esempi rappresentativi di come le correnti sinaptiche (A-B) o la frequenza delle scariche elettriche (potenziali di azione, C) cambiano dopo l’induzione (“ = 30 min”, colorazione scura) rispetto a prima dell’induzione (baseline, in colore chiaro). Il numero (n) rappresenta il numero di neuroni analizzati. I grafici riportano valori medi ± errore standard. (Immagine modificata da [1]).
Abbiamo quindi testato la capacità di questi animali di registrare specifiche memorie motorie (alcuni riflessi motori involontari associati a nuovi stimoli sensoriali) che dipendono in modo specifico dai neuroni di Purkinje (Fig. 3). Quello che abbiamo osservato è stato che gli animali con la mutazione non riuscivano ad imparare altrettanto bene di animali senza la mutazione in un test di apprendimento motorio conosciuto come “condizionamento del riflesso corneale”. Questo è un test comportamentale non invasivo che si basa sul riflesso motorio involontario. Questo riflesso è tanto semplice da permettere ai ricercatori di studiare i suoi meccanismi in modo molto approfondito. Conoscere questi processi per comportamenti semplici permette di comprendere meglio cosa può avvenire anche in comportamenti più complessi. Questo riflesso motorio è costituito dalla chiusura delle palpebre che viene indotto quando la cornea viene stimolata con un soffio d’aria e può essere sperimentalmente associato ad uno secondo stimolo neutro (nel nostro caso l’accensione di una luce): dopo un periodo di “addestramento” in cui si forniscono entrambi gli stimoli, si induce normalmente una associazione del riflesso motorio con il secondo stimolo (la luce) che fa sì che l’animale chiuda le palpebre anche solo con questo stimolo, in assenza dello stimolo che originariamente lo suscitava (il soffio d’aria). Questa associazione rappresenta una forma semplice di memoria motoria che è risultata compromessa in presenza della mutazione. L’alterazione era altamente specifica e non era accompagnata da un deterioramento altre funzioni di base del cervelletto (come movimenti oculari, locomozione e coordinazione motoria) o altre forme di apprendimento motorio (adattamento del riflesso vestibulo-oculare).
![Figura 3 – Il condizionamento del riflesso corneale è alterato dalla mutazione. (A) Schema del test comportamentale: la chiusura della palpebra viene registrata da un chip che rileva i movimenti di un piccolo magnete montato sulla palpebra, indotto stimolando la cornea da un soffio d’aria (air puff, unconditioned stimulus, US) ed associato ad un flash di luce (LED light, conditioned stimulus, CS). Lo schema in alto (A) raffigura la curva della chiusura della palpebra (conditioned response, CR), che inizialmente in coincidenza del breve soffio d’aria (US, traccia in rosso) e alla fine dell’addestramento viene indotto anche dalla sola luce (CS, traccia in verde). (B) La probabilità con cui il riflesso viene causato dalla luce nei giorni di addestramento: all’inizio la luce (uno stimolo neutro) non induce naturalmente il riflesso ma, con il passare dei giorni, l’accensione della luce induce il riflesso con sempre maggiore frequenza nei topi che non hanno la mutazione (control, in blu) e con una probabilità significativamente minore nei topi con la mutazione (L7-SK2, in arancione). Il numero (n) rappresenta il numero di neuroni analizzati. I grafici riportano valori medi ± errore standard. (Immagine modificata da [1]).](https://informa.airicerca.org/wp-content/uploads/sites/12/2020/02/Fig-3-behaviour.png)
Figura 3 – Il condizionamento del riflesso corneale è alterato dalla mutazione. (A) Schema del test comportamentale: la chiusura della palpebra viene registrata da un chip che rileva i movimenti di un piccolo magnete montato sulla palpebra, indotto stimolando la cornea da un soffio d’aria (air puff, unconditioned stimulus, US) ed associato ad un flash di luce (LED light, conditioned stimulus, CS). Lo schema in alto (A) raffigura la curva della chiusura della palpebra (conditioned response, CR), che inizialmente in coincidenza del breve soffio d’aria (US, traccia in rosso) e alla fine dell’addestramento viene indotto anche dalla sola luce (CS, traccia in verde). (B) La probabilità con cui il riflesso viene causato dalla luce nei giorni di addestramento: all’inizio la luce (uno stimolo neutro) non induce naturalmente il riflesso ma, con il passare dei giorni, l’accensione della luce induce il riflesso con sempre maggiore frequenza nei topi che non hanno la mutazione (control, in blu) e con una probabilità significativamente minore nei topi con la mutazione (L7-SK2, in arancione). Il numero (n) rappresenta il numero di neuroni analizzati. I grafici riportano valori medi ± errore standard. (Immagine modificata da [1]).
Questi risultati (resi possibili solo grazie alla sperimentazione animale [4]) dimostrano quindi che, oltre alla plasticità sinaptica (che coinvolge “gli input” dei neuroni), anche la plasticità intrinseca (che coinvolge invece la generazione “dell’output” del neurone) può contribuire a registrare memorie. Si aggiunge così un nuovo tassello nella comprensione dei meccanismi con cui il cervello registra nuove memorie nei neuroni.
Bibliografia
[1] Grasselli, G., Boele, H.-J., Titley, H.K., Bradford, N., van Beers, L., Jay, L., Beekhof, G.C., Busch, S.E., De Zeeuw, C.I., Schonewille, M., Hansel, C. (2020) SK2 channels in cerebellar Purkinje cells contribute to excitability modulation in motor-learning-specific memory traces, PLoS Biol. 18, e3000596.
[2]Magrinelli, E. (2015) Quando membrane, proteine e sali creano elettricità, AIRInforma 2, 2015-12-14.
[3] Grasselli, G., He, Q., Wan, V., Adelman, J.P.P., Ohtsuki, G., Hansel, C. (2016) Activity-Dependent Plasticity of Spike Pauses in Cerebellar Purkinje Cells, Cell Rep. 14, 2546–2553.
[4] Cocco, S. (2015) Sperimentazione animale: possiamo farne a meno?, AIRInforma 2, 2015-05-20.
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