Recenti studi comprovano che le microplastiche (particelle tra 0,1 um e 5mm) sono ormai ubiquitarie sia negli ecosistemi marini che terrestri.
Benchè si parli spesso di microplastiche negli oceani, anche l’inquinamento terrestre non è da sottovalutare, anche perchè può costituire una fonte per l’inquinamento marino. Infatti, uno studio condotto dall’Università di Manchester e pubblicato su Nature geoscience, ha classificato la contaminazione da microplastica per tipo, dimensione e densità della microplastica trovata nei sedimenti di 40 corsi d’acqua sia urbani che rurali nel Nord Ovest dell’Inghilterra. Le osservazioni e le analisi sono state effettuate prima e dopo delle inondazioni avvenute nell’inverno 2015-16; a seguito delle inondazioni è stata riscontrata una diminuzione tra il 60% e l’80% delle microplastiche precedentemente intrappolate nei sedimenti. I ricercatori ritengono che queste microplastiche siano state trasportate in mare a seguito delle inondazioni e che quindi i sedimenti fluviali rappresentino una fonte di microplastica per gli oceani, contrariamente alle teoria attuale secondo cui le microplastiche trovate nell’oceano si originerebbero dalla frammentazione della plastica.
Uno studio dei ricercatori di Plymouth, pubblicato su Environmental Pollution, evidenzia per la prima volta il trasferimento delle microplastiche lungo la catena alimentare. Lo studio è stato condotto analizzando gli escrementi di quattro foche del Cornish Seal Sanctuary di Gweek, in Cornovaglia, e confrontandolo con il contenuto dei tratti digestivi degli sgombri di cui si cibavano. Circa metà dei campioni di escrementi e un terzo dei pesci contenevano da uno a quattro microplastiche e il polimero ritrovato più frequentemente era l’etilene-propilene.
Un altro studio pubblicato su Nature Communications e condotto in laboratorio sul crostaceo Euphausia superba, parte del krill antartico, identifica un nuovo meccanismo con cui le microplastiche ingerite vengono frammentate in pezzetti sufficientemente piccoli (raggiungendo la dimensione delle nanoplastiche, cioè tra 1 e 100 nanometri) che potrebbero interagire a livello molecolare con il tratto digestivo dell’organismo, venendo anche potenzialmente assorbite dall’emolinfa e ponendo quindi problemi di accumulo e tossicità per l’organismo. Le particelle espulse inoltre potrebbero avere delle caratteristiche differenti da quelle che normalmente si trovano nell’ambiente. Lo studio ha anche confrontato l’esposizione a concentrazioni diverse di microplastiche, riscontrando una frammentazione maggiore quando il krill veniva esposto a concentrazioni inferiori (concentrazioni basse ma comunque confrontabili a quelle ambientali).
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