di Davide Montesarchio
Editor: Christian Bellacanzone
Revisori Esperti: Silvia D’Antonio, Matteo Faè
Revisori Naive: Nicola Ganci, Sara Reali
Ogni volta che ci si immagina come sarà il futuro dell’umanità, imprescindibilmente si fantastica su nuove fonti energetiche, economiche e pulite. Questo articolo vuole brevemente riassumere l’evoluzione della tecnologia dei biocarburanti, facendo luce su quello che è stato e su cosa ci si può aspettare.
Negli ultimi anni l’attenzione mediatica sui biocarburanti è andata scemando, tuttavia ci troviamo in un momento storico fondamentale per definire se potremo vederli commercializzati a breve. In questo modo si potrebbe anche scongiurare la “Spada di Damocle” del riscaldamento globale. Esistono molti tipi di biocarburanti, tuttavia questo articolo si concentrerà su quelli già presenti sui mercati mondiali: il biodiesel ed il bioetanolo.
Può sembrare paradossale, ma a cavallo tra XIX e XX secolo i biocarburanti dominavano il mercato mentre quelli fossili erano solo una tecnologia nascente. Nei primi anni del ‘900 Henry Ford promosse l’uso di etanolo di origine vegetale per alimentare le sue automobili e il primo motore diesel era alimentato a olio di arachidi. Alla fine degli anni Trenta, anche grazie a una legislazione favorevole e a un forte lobbying, la tecnologia del petrolio fece passi da gigante. La disponibilità di grandi quantità di greggio dopo la seconda guerra mondiale, il basso costo del petrolio e le scelte politiche hanno fatto quasi scomparire i biocarburanti.
Il biodiesel e il bioetanolo si possono ottenere da differenti fonti e la loro evoluzione può essere suddivisa in generazioni che, per convenzione, possono essere differenziate in base all’origine degli atomi di carbonio che compongono il carburante stesso.
Per dare una definizione comune a tutte le generazioni e inquadrare meglio biodiesel e bioetanolo, si può affermare che il primo è derivato da un processo di transesterificazione (Fig. 1) su lipidi di origine vegetale o microbica, mentre il secondo è derivato invece dalla fermentazione di zuccheri di varia natura in etanolo mediante microorganismi.

Figura 1 – Il processo di transesterificazione
Tornando quindi alla classificazione in generazioni, si possono distinguere:
– Prima generazione: Gli atomi di carbonio provengono da una coltivazione ad hoc, realizzata cioè con lo scopo di produrre un combustibile. Il biocarburante di prima generazione viene derivato dalla transesterificazione degli olii vegetali (biodiesel) oppure della fermentazione microbica (ad opera principalmente di lieviti come Saccharomyces cerevisiae e Zymomonas mobilis) degli zuccheri presenti nelle piante che vengono coltivate (bioetanolo).
Le colture più comuni, in questo caso, sono mais, colza e canna da zucchero.
Purtroppo, dove si fa un largo uso di biocarburanti, questa tecnologia resta ancora la più utilizzata. Basti vedere l’esempio del Brasile, uno dei pochi paesi dove il bioetanolo è molto diffuso e le auto flexifuel sono la norma. Purtroppo il bioetanolo è anche una delle cause dello scempio che viene fatto della foresta Amazzonica per coltivare canna da zucchero (Fig. 2).

Figura 2 – Distribuzione dei campi di canna da zucchero in Brasile
– Seconda generazione: Nella seconda generazione possono essere inquadrati i biocarburanti che derivano da masse vegetali non coltivate ad-hoc, come gli scarti agricoli, forestali etc. Ciò implica la salvaguardia delle coltivazioni a scopo alimentare essendo gli zuccheri da fermentare recuperati a partire dalla materia ligno-cellulosica di scarto, effettuando un vero e proprio riciclo. In questo caso gli zuccheri per produrre il bioetanolo , derivano dai polisaccaridi che costituiscono la parete cellulare vegetale, ovvero cellulosa, emicellulosa e pectine, macromolecole complesse, formate da concatenazioni più o meno ramificate di zuccheri semplici. Per rendere fermentabili questi ultimi occorre prima liberarli rompendo le catene zuccherine. Questo passaggio risulta molto complesso e necessità l’uso di alte temperature, pressioni e composti chimici o enzimi: ciò crea ricadute di carattere economico e ambientale.
– Terza generazione (I): La terza generazione può essere suddivisa in due sottogruppi. In essa possono essere inclusi tutti i biocarburanti dove gli atomi di carbonio sono di origine atmosferica, cioè quell’anidride carbonica che liberiamo a tonnellate nell’aria e che rappresenta uno dei principali responsabili dell’effetto serra. Concettualmente, la terza generazione è un gigantesco passo in avanti nella produzione dei biocarburanti perchè si agirebbe direttamente e velocemente sui livelli di anidride carbonica atmosferica. La CO2 viene fissata da alghe unicellulari (Fig. 3) che la utilizzano per creare principalmente lipidi (grassi) e altre componente cellulari.In laboratorio sono stati selezionati, e in alcuni casi ingegnerizzati, ceppi che incanalano una grandissima percentuale dell’anidride carbonica fissata dall’atmosfera in molecole lipidiche. Questi lipidi poi possono essere estratti e transesterificati in biodiesel.

Figura 3 – Anidride carbonica e luce solare utilizzati per l’accumulo di lipidi all’interno della cellula di alga monocellulare
– Terza generazione (II): In un’ulteriore evoluzione della terza generazione l’origine degli atomi di carbonio resta atomosferica, ma la conversione del carbonio in biocarburante avviene già all’interno della cellula. . Il post-processing, quindi, riguarda solo la purificazione e la concentrazione del biocarburante. La conversione diretta dell’anidride carbonica in etanolo mediante l’uso, ad esempio, di cianobatteri, permette di ottenere risultati notevoli (Fig. 4). L’uso di questi organismi richiama ancora il concetto di futuro che viene dal passato poichè essi sono, evolutivamente parlando, gli inventori della fotosintesi,ovvero il primo organismo su questo pianeta a nutrirsi di anidride carbonica.
Questi batteri, con migliaia di varianti, ceppi e sottoceppi, sono responsabili del 50% di tutta l’attività fotosintetica sulla Terra e sono presenti in una gamma ampissima di ecosistemi.
La loro natura li rende semplici e veloci da ingegnerizzare rispetto ad organismi più complessi come le alghe o le piante che hanno cicli di crescita molto lunghi.

Figura 4 – Conversione diretta di anidride carbonica e luce solare in bioetanolo
In conclusione, nonostante l’avanzare della tecnologia, l’impiego dei biocarburanti di seconda e terza generazione resta purtroppo limitato. Una delle ragioni è che i quantitativi ottenuti mediante queste tecnologie non consentono una produzione economica di massa a prezzi davvero competitivi con i combustibili fossili. Basti pensare che la più recente di queste tecnologie ha quasi 20 anni e adesso si sta lavorando principalmente allo scopo di incrementare la produttività.
Un ulteriore ostacolo è la mancanza di una tassazione dei carburanti basata sul loro potere inquinante. In questa situazione i biocarburanti sono svantaggiati a livello economico nella competizione contro un gigante che da circa un secolo si basa su tecnologie diffuse e rodate. Inoltre, il quadro politico-economico internazionale ha fatto sì che il prezzo dei combustibili fossili, in primis il petrolio, scendesse vertiginosamente rispetto ai picchi del periodo compreso tra 2008 e la prima parte del 2014 , rendendo meno appetibili gli investimenti nelle energie rinnovabili, specialmente in Europa . Oggi e nell’immediato futuro i carburanti fossili sono e saranno ancora i più diffusi a livello mondiale, nonostante che gli effetti dell’inquinamento globale siano di anno in anno più allarmanti.
Info sui Revisori di questo articolo
Silvia D’Antonio, PhD student presso CIRIAF – Sez. CRB centro ricerca biomasse, Università degli studi di Preugia
Ho apprezzato molto l’articolo e sono interessato al tema.
Sono un neolaureato in Biotecnologie presso la Wageningen University & Research e volevo sapere se aveste proposte in merito per collaborazioni o posizioni libere.